È la lingua più bella del mondo, l’italiano. Dante, Leopardi, Ungaretti, Pirandello. Però ci sono lingue che una cosa la sanno fare meglio. Sanno esprimere concetti incredibilmente complicati con una parola sola. E il mondo è pieno di concetti che meritano una parola. Komorebi è l’insieme di tre vocaboli giapponesi che intrecciandosi tra loro diventano magia.Komorebi è la luce che gocciola dalle foglie degli alberi. È la luce che filtra tra le foglie degli alberi. La luce che si disperde attraverso le foglie degli alberi. Visto? È bella la lingua italiana, ma oggi non serve. Perché come si fa a esprimere con una sola parola un volto nascosto dietro due mani? Piazza di Debrecen, Ungheria. Mezzo campo da basket, tre giocatrici in rosso e verde, tre in bianco e azzurro. Il tiro decisivo uscito dalle mani di D’Alie è entrato. Manca ancora qualche secondo, ma nel 3×3 il tempo non si ferma. Nel 3×3 niente si ferma mai e l’Ungheria non ha il tempo per rispondere a quel canestro. La partita finisce. L’Italia del 3×3 vola alle Olimpiadi di Tokio. Tu cosa faresti se ti qualificassi per le Olimpiadi? Non sai neanche immaginarlo. Se glielo avessero chiesto, neanche lei lo avrebbe saputo. La partita è finita da un minuto e lei continua a non saperlo. Tiene le mani davanti al viso. Le mani che sembrano foglie, gli occhi che sembrano due Soli. E quanta luce gocciola tra quelle dita. Komorebi. Una volta un vecchio allenatore con gli occhiali e la barba bianca ha detto che nella pallacanestro il quinto giocatore “rompe le palle”. Ruba spazio agli attaccanti e porta difensori. Nel 3×3 il quinto giocatore non c’è. Non c’è nemmeno il quarto e per giocare ci sono spazi grandi come il Grand Canyon. A patto però che non ci si fermi mai. Palleggiare, muoversi, attaccare. Non pensare. E lei qui è a casa. Riceve, guarda il difensore. Si mette in ritmo con quei due palleggi e attacca. Niente quarto difensore che aiuta, niente quinto che ruota e “rompe le palle”. Lei è a casa in quel Grand Canyon e può colorarlo come vuole. Di destro, di sinistro, in sottomano. Colori che in giro per i campi non si vedono più. Il corpo è leggero, la testa è libera ed eccola, la luce che le sgorga dalle mani. Ora salta per un rimbalzo, fa a botte per tagliare fuori l’attaccante. Non se ne accorge nemmeno. È la sua testa a pensare per lei. Se si vedesse, forse non si riconoscerebbe e le verrebbe da ridere. Invece ha le mani sulla bocca e gli occhi spalancati. È a casa. È quasi estate e di sera c’è tanta luce. È una bambina che si sente grande. In giardino una palla rimbalza e rimbalza e rimbalza. Forse è pronta la cena. Un altro tiro. Sì, mamma, solo uno. Non si farà stoppare da sua sorella più grande, stavolta no. Due palleggi, un passo un po’ più lungo della gamba e sottomano di sinistro. Accompagna la palla fino a sentirla con l’ultima falange. Canestro. Esulta. Neanche fosse alle Olimpiadi, vero? Svegliati, Chiara. Non è il cortile questo. È il torneo Preolimpico e sì, lo hai vinto. Sì, voli a Tokio e no, non togliere le mani dal viso. Non toglierle mai.

 Lia Valerio